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Facciamo le parcherie?














Di Kohei Yoshiyuki si dice che sia nato nel 1946, ma oltre a questo, e al fatto di aver lavorato come fotografo commerciale, non sappiamo molto, neanche se sia o meno il suo vero nome. Kohei Yoshiyuki ha realizzato negli anni Settanta un lavoro fotografico in bianco e nero che, “riscoperto” nel 2007, ha continuato in questi anni a girare con successo le gallerie fotografiche e i musei di tutto il mondo, compresa una mostra alla Biennale di Venezia nel 2013.

The Park” è un lavoro discusso. Discusso il soggetto delle immagini, discusso il loro significato. Esposte per la prima volta a Tokyo nel 1979, queste foto di coppie che fanno sesso nei parchi spiate da gruppi di guardoni, suscitarono un certo successo, scalpore e disagio. Il lavoro di otto anni, spesi dal fotografo a confondersi tra i voyeur in tre parchi cittadini e a fotografare, in bianco e nero, nel buio completo, con pellicole e filtro flash ad infrarossi, fu esposto alla Komai Gallery: l’allestimento stesso fu pensato in modo da mettere i visitatori nella scomoda posizione di voyeur.

Stampate quasi a grandezza naturale, esposte in stanze buie, questi erano costretti a vedere le immagini alla luce di torce, di cui venivano provvisti all’ingresso. Così esposte, i visitatori non potevano coglierle nella loro interezza, ma solo scoprirne i dettagli poco per volta, muovendo la luce, come se loro stessi si trovassero ad annaspare nel buio in cerca di qualcosa da vedere. Come possiamo immaginare, questo tipo di fruizione moltiplicava il potere delle immagini stesse, rendendole più disturbanti e provocatorie e dando così la responsabilità agli spettatori di scoprirne, anzi spiarne, i contenuti.

Finita quella mostra le stampe si dice siano state distrutte, ne fu stampato un libro, Kōen, nel 1980, e di Yoshiyuki non si parlò più, fino al 2007, anno in cui la Yossi Milo Gallery di New York recuperò il suo lavoro e lo rimise in mostra, quasi trent’anni dopo.

Da allora il MoMa e il Museum of Contemporary Photography di Chicago, così come altri musei americani, acquisirono alcune delle sue immagini nelle loro collezioni, consacrando il nome di Yoshiyuki tra i fotografi giapponesi di fama. Il successo di “The Park” non risiede tanto nel soggetto delle immagini: il voyeurismo nella storia dell’arte giapponese è un tema presente già diversi secoli prima del lavoro di Yoshiyuki. Non risiede neanche nell’aspetto erotico: più che alle raffinate composizioni di un maestro dell’erotismo come Nobuyoshi Araki queste immagini assomigliano a gelide riprese generate da telecamere di sorveglianza. Se da un lato costituiscono un inedito documento sulla società giapponese, ed un inedito modo – che risulta ancora contemporaneo – di raccontarcela, il motivo del suo successo sta forse anche nel portarci a riflettere sul rapporto tra fotografia e privacy da un lato e fotografia come voyeurismo dall’altro.

Se di fotografia e privacy si è tanto parlato e legiferato negli ultimi anni, tanto da impedire quasi a un fotografo di pubblicare il proprio lavoro se sprovvisto di liberatoria, assestando così un duro colpo alle procedure della street photography, “The Park” non solo ci mostra chiaramente il fotografo come voyeur, ma ci fa sentire senza appello voyeur esattamente come lui. Helmut Newton ha affermato: «Se un fotografo dice di non essere un voyeur o è stupido o è un bugiardo». Cosa dire, dunque, di noi che guardiamo come voyeur, le immagini di un voyeur che spia dei voyeur che spiano delle coppie? La scelta dell’allestimento della mostra del 1979 già citata, mette in rilievo esattamente questo aspetto: non possiamo esonerarci dalla responsabilità della visione solo perché non siamo stati noi a scattare le fotografie. Ma questo in fondo è un tema che attraversa l’intera storia della fotografia. E dell’uomo. 


Articolo di Giuseppe Cicozzetti

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